Un approccio terapeutico olistico visto attraverso l’osteopatia
Abbiamo parlato con il veliterno Daniele Favale che ha da poco inaugurato il suo nuovo studio a Cisterna di Latinadi Eva Senko
Spesso si tende a generalizzare quando si parla si discipline ortopediche. Pensando all’osteopatia, viene spontaneo associarla alle ossa e soprattutto al loro scrocchiamento. Niente di più sbagliato! Ne parliamo con il dott. Daniele Favale, osteopata, che ci spiega perché l’osteopatia non è solo questo, ma ben altro.
La storia personale di Daniele
Per comprendere il concetto di terapia del dott. Favale è importante conoscere la storia personale di Daniele che è essa stessa esempio di vita al quale tende questa idea di approccio terapeutico.
Nato con danno neurologico, prettamente motorio, dovuto a una compressione celebrale avvenuta durante una complicata gravidanza, Daniele inizia a camminare tardi. Fin da piccolo intraprende un percorso di fisioterapia che proseguirà per ben sette anni. Nel ’94 affronta il primo intervento di allungamento al tendine di Achille. Nel 2002 ne affronta un secondo seguito da mesi di terapia post operatoria. E’ in questo contesto che Daniele si confronta con l’approccio terapeutico del dott. Marcello Mario Pierro, primario di neuropsichiatria infantile ad Ariccia, che consisteva nel portare il paziente a tendere all’ autonomia, ovvero l’obiettivo non era quello di camminare bene ma di farcela da soli, nello svolgere le attività quotidiane e nella vita. In questo ambiente di camici bianchi Daniele inizia ad appassionarsi alla medicina di base neurologica e a studiarne le strutture.
Stimolato dal cercare di capire i meccanismi e le dinamiche a livello medico del suo handicap, sviluppa competenze lavorando con ragazzi disabili. Nel 2010 si laurea alla Sapienza in tecniche ortopediche, subito dopo intraprende la scuola di osteopatia. Alcuni dei fisioterapisti che lo seguivano sono stati per lui fonte di grande ispirazione.
Tuttavia la sua condizione fisica – ci tiene a sottolineare – ha poco a che fare con la scelta di studiare osteopatia. Anzi, studiare nuovi argomenti l’ha spinto fuori dalla sua comfort zone permettendogli di fare esperienza pratica e comprendere come i sani rapporti umani siano fondamentali nel superare alcune barriere fisiche e mentali. Sperimenta su sé stesso l’idea che l’evoluzione avviene in uno status di “scomodità”.
L’osteopatia come disciplina olistica
Torniamo all’osteopatia (dal greco antico: ὀστέον, ostéon, «osso» e πάθος, páthos, «sofferenza»), la definizione può trarci in inganno. Il dott. Favale ci spiega come l’osteopatia, essendo una branca della medicina manuale, procede attraverso dei test omeopatici i quali vanno ad individuare le zone di disfunzione. La zona di disfunzione consiste in una regione del corpo che ha poca mobilità, siano essi tessuti molli o rigidi. Non si tratta di lavorare solo sull’osso, si lavora su tutto il corpo. Essendo una disciplina olistica, cerca di trovare delle congruenze tra tutti i distretti e individuare la disfunzione principale, una volta trovata la quale tutto il resto si sblocca da sé. Tutto questo non può prescindere dalla collaborazione tra medico e paziente.
L’osteopata – ci spiega ancora il dott. Favale – lavora con le mani, senza ausilio di strumenti o macchinari. In tutto questo la consapevolezza del paziente è fondamentale, gran parte della guarigione dipende da lui.
La vera cura sta nel cervello
L’idea di medicina di cui parla il dott. Favale ci fa pensare alle tecniche di guarigione ancestrali. Queste tecniche curative – come ci conferma – sono sempre esistite, semplicemente abbiamo perso la loro conoscenza dopo le scoperte newtoniane, basate prevalentemente sulla fisica meccanica e sul nesso di causa ed effetto. Tutto questo ha posto nel dimenticatoio le antiche conoscenze sullo spirito. Riguardo questi temi il dott. Favale fa riferimento al libro “Il cervello anarchico” di Enzo Soresi, pioniere della Psico-neuro-endocrino-immunologia. Soresi afferma che il nostro organismo è, infatti, una unità indivisibile tra corpo e mente e come tutte le funzioni cognitive, fisiologiche ed emotive, si incontrino nel cervello. Nel suo sviluppo giocano un ruolo importante le nostre emozioni, pensieri e convinzioni che si ripercuotono sulla nostra capacità di provare dolore. Può accadere, addirittura, che, a causa di alcuni shock emotivi, si possa assistere alla insorgenza di tumori.
La scomodità come terapia
Verso la fine della nostra chiacchierata, il dott. Favale torna su quel concetto a lui caro, che si è trovato costretto a sperimentare sulla sua pelle e per questo le sue parole sono piene di una veridicità convincente, secondo il quale, solo nella condizione di “scomodità”, si trova l’unica leva di evoluzione e cambiamento. Il giusto atteggiamento e i sani rapporti sono la chiave di volta. Il nostro compito è trovare l’ambiente giusto dove coltivare sé stessi. Se ci troviamo in un ambiente sbagliato ci sentiremo sempre sbagliati. In conclusione “Se metti un pinguino nel deserto – ci dice con un aneddoto – è l’ambiente ad essere sbagliato non il pinguino”. L’obbligo morale di ciascuna persona per vivere al massimo è la capacita di capire qual è il proprio ambiente, dopo di che tutto viene da sé.
Last modified: Aprile 8, 2023